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Canto oltre il delirio

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Hanno il suono flebile dei pensieri lassi desiosi di pace

i miei passi lenti noncuranti della strada

è uno strano ritorno la soglia dopo l’erta

in un sospiro rubato al silenzio

quando un altro giorno muore e la sera

t’accorgi d’una strana avarizia

 

delle poche parole tante sono morte negli anni

tante le abbiamo pronunciate bendati

quelle leggere il peso d’una carezza

trascurate per l’inclemenza crescente delle stagioni

 

Ti sovviene la morte col suo gelido fiato

a cancellare il torpore del tuo ordine inverso

tornano gli sguardi allo specchio riflessi

come lampi incrinati nell’aria

come scie meteoritiche fuggenti

 

è un abisso diverso quello in cui scivoli

al riparo dal rumore del giorno dove sai

che la poesia salverà il mondo

( è più di uno slogan è una fede )

ma è vera nell’attimo che sfiori l’eterno

 

poi impallidisce e tu tramonti col capo

reclinato d’un fiore. Il suolo l’ultima cosa

che sfiori stremato lontano dal ricordo

di quando carponi brucavi la strada

 

Comprendete ora la forza d’ una fiammella

nel buio universo tra i venti e quel suo ancheggiare

per resistere ancora all’ignoto

 

I passi lenti nella mente erano celeri

e i campi arati e i frutti caduti nel fango

le foglie ingiallite e i rami irti come armi sguainate

ci hanno fatto scordare il percorso la sua immane fatica

 

e i passi percettibili appena nel loro avanzare

si sono fermati una sosta soltanto una panchina deserta

l’orologio fermo ad una bieca stazione

 

la sera vestita di qualche vaga promessa

per placare le insidie del giorno

e fermare la morte e quel silenzio

che divideva il fruscio della seta dal cigolio della porta

 

poi con qualcuno abbiamo indossato la luce

sfiorandoci nel bacio più casto

abbiamo pregato inginocchiandoci

perché il dolore non fosse privilegio dell’anima

 

abbiamo immaginato traguardi con l’occhio d’un folle

e siamo tornati indietro nostalgici a guardare i binari

viaggi mai intrapresi scogli i passi fruscianti

la stessa voce dei nostri pensieri così uniti e così distanti

 

quando le mani operose davano vita alle cose

e i nostri piedi andavano lenti sotto cieli diversi

abbiamo coltivato fiori mietuto le spighe

irrigato la terra ed atteso il maturar delle vigne

abbiamo vissuto più di una vita

la nostra e quella dei cercatori di sogni.

 

 

 Dedalus - 27/09/2020 23:08:00 [ leggi altri commenti di Dedalus » ]

Lirica che leggendo mi ha spinto a pensare ad una disciplina costruttiva tendente a creare qualcosa di nuovo, qualcosa che è pur sempre legata alla realtà; l’autrice qui scrive spalmando lunghe e sapienti pennellate e lasciandosi trasportare dall’istinto e dalla sua intuizione, ma vestendosi allo stesso tempo di un’aria vagamente orfica. Come già ebbi a dire in una recente analisi su un testo di questa autrice la sua poesia "è una poesia creata giorno dopo giorno, pagina dopo pagina, un percorso poetico che si rigenera continuamente sospeso nel suo divenire." ed oggi ancor più sono spinto a dire che questo divenire per lei sembra non aver fine e che si protragga all’infinito.

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